I 35 ANNI DELL’A.I.C.C.E F.
LE RADICI DELLA NOSTRA
PROFESSIONE
CARL ROGERS E LA SUA TESTIMONIANZA IN ITALIA
“Gli individui hanno in se stessi ampie risorse per auto-comprendersi e
per modificare il loro concetto di sé, gli atteggiamenti di base e gli
orientamenti comportamentali. Queste risorse possono emergere quando può essere
fornito un clima definibile di atteggiamenti psicologici facilitanti”
C.Rogers
Carl
Ramson Rogers, è
lo psicologo statunitense noto in tutto il
mondo per i suoi studi sulla consulenza, sulla pedagogia e sulla psicoterapia all'interno della
corrente umanistica della psicologia.
E’
stato il fondatore della terapia non
direttiva centrata sul cliente ed i suoi studi si sono concentrati
su una
teoria della personalità (la psicologia umanistica) secondo la quale
l'individuo tende all'autorealizzazione, e struttura il proprio Sé ricercando
un accordo tra la valutazione-accettazione dei valori esterni
(familiari, sociali…), e quelli propri dell’esigenza di autorealizzazione.
Secondo tale approccio, l'accettazione di comportamenti impropri (ovvero
incongruenti col sistema di valori rivolti all'autorealizzazione del soggetto)
sarebbe causa del disagio che motiva il ricorso alla terapia, la quale ha lo
scopo di rivitalizzare le naturali capacità di autoregolazione del cliente.
L’importanza
di Rogers nella teoria della Consulenza familiare è insita nella sua fondamentale
intuizione di eliminare il concetto di
"paziente" dalla relazione d’aiuto, trasformandolo in cliente.
Non c'è più quindi la persona che, in maniera del tutto passiva, si affida ad
un esperto ma ci sono due persone (terapeuta e cliente) che fanno insieme un
percorso di crescita. Tutto ciò comporta la rottura con l'immagine e la funzione
tradizionali del terapeuta come esperto dei problemi del cliente. Al contrario,
il terapeuta si considera collaboratore e compagno che cresce insieme al
cliente in un processo di incontro da persona-a-persona. Questa intuizione lo
ha portato ad affermare che il miglior
modo per venire in aiuto ad una persona in difficoltà, non sia quello di dirle
cosa fare, quanto piuttosto aiutarla a comprendere la sua situazione, e a
gestire il problema assumendo da sola e pienamente la responsabilità delle
scelte eventuali. Questa modalità e linguaggio centrato sulla persona. che si
avvicinano più all’esperienza colloquiale. sono stati assunti in pieno dalla
consulenza familiare che non usa una teoria preconcetta alla quale doversi
adattare, alla quale dover corrispondere. Non vi è una verità oggettiva a cui
fare riferimento, l'unica verità è il vissuto della persona in difficoltà.
Secondo questo pensiero, ogni individuo è l'unico a possedere la chiave di se
stesso, ossia la propria consapevolezza di sé e quindi le risposte alle proprie
domande e le soluzioni dei propri problemi. In questa ottica il fuoco
dell'attenzione è centrato sulla dimensione esistenziale del rapporto che si
instaura tra due o più persone. Ed è proprio l'intensità della qualità del
rapporto che permette alle persone ed ai gruppi di comunicare efficacemente,
svilupparsi, evolversi, risolvere problemi, esprimere al massimo le proprie
potenzialità, crescere.
LA VITA
Nasce
in un quartiere di Chicago da una
famiglia molto unita. A 12 anni la sua famiglia si trasferisce in campagna per
dedicarsi all'agricoltura e all'allevamento degli animali. Nel 1919 si iscrive
alla facoltà di Agraria, che presto abbandona per intraprendere studi di
Teologia. Nel 1922 si trasferisce in Cina per alcuni mesi insieme ad un gruppo
di studenti americani. L'occasione è la partecipazione ad una conferenza
internazionale organizzata dalla Federazione Mondiale degli Studenti Cristiani.
Questo soggiorno gli permette di confrontare la cultura occidentale con quella
orientale e dà modo di chiarire a se stesso molte scelte della sua vita.
Infatti da questo confronto, non appena rientrato negli Stati Uniti, abbandona
gli studi religiosi per intraprendere quelli di carattere psicopedagogico.
Nel
1924 si sposa con Helen Elliot, che gli darà due figli: David e Natalie.
Affascinato
e stimolato sia dalle teorie di Otto Rank che dalla corrente europea
dell'esistenzialismo, Rogers pubblica nel 1939 il suo primo libro: The Clinical
Treatment of the Problem Child. Grazie a questa pubblicazione ottiene una
cattedra di psicologia clinica in Ohio.
Nel
1942 il suo nuovo libro “Counseling and Psychotherapy” getta le basi della client-centered therapy e del movimento
di psicologia umanistica. Trasferitosi a Chicago, sua città natale, nel 1944 fonda
il primo Counseling Center all'interno del quale effettua, oltre alla sua
modalità di "terapia non direttiva", anche ricerca clinica. Da questa
attività deriva, alcuni anni dopo, il libro Client-centered-Therapy ("Terapia centrata sul cliente"),
testo fondamentale e manifesto del pensiero di Rogers. In questo libro vengono
infatti ampliate tematiche già affrontate in Counseling and Psychotherapy.
Nel
1957 ottiene la cattedra di Psicologia e Psichiatria all'Università del
Wisconsin. All'interno del dipartimento di psichiatria Rogers sperimenta la sua
"terapia centrata sul cliente" a pazienti psicotici ottenendo ottimi
risultati. Nel 1964 lascia l'insegnamento e si dedica alla ricerca e alla
divulgazione delle sue teorie. Si trasferisce in California e nel 1969 fonda
l'Institute of Peace per lo studio e la risoluzione dei conflitti.
Il
28 gennaio 1987, poco prima di morire, viene candidato per il Premio Nobel per
la pace. Muore nel 1987 per un attacco cardiaco, a 85 anni, dopo aver speso gli
ultimi anni della sua vita a girare il mondo per spiegare le sue teorie.
ROGERS IN ITALIA
Ed
in varie occasioni, in questo suo cammino divulgativo, Rogers è approdato in
Italia per parlare della Terapia non direttiva centrata sulla persona, e ha
aperto una scuola di formazione sulla terapia non direttiva.
Durante
uno dei suoi soggiorni nel nostro paese, nel luglio del 1979, Carl Rogers
partecipò ad un convegno organizzato a Roma dall’Istituto di Bioenergetica, che
fu frequentatissimo dagli specialisti del settore ed in particolare dai
Consulenti familiari. In questo convegno Rogers partecipò ad un workshop in cui
tenne in diretta un colloquio con un “cliente improvvisato”. Il colloquio fu
registrato su nastro e l’ AICCeF ne ha pubblicato la versione integrale nel
Notiziario n.3 del 1980.
Pensiamo
di fare una cosa gradita ai lettori, ed un’operazione di cosciente ricognizione
delle nostre radici, ripubblicando il colloquio integrale di Rogers con una
partecipante al convegno che si offrì di sottoporsi alla “simulata” con un
personaggio tanto rilevante. Riportiamo la testimonianza dell’allora redattrice
del Notiziario AICCeF, Graziella
Frera, presente all’evento, che così descrisse l’incontro:
< Il colloquio fu
preceduto da poche frasi di premessa di Rogers che rivelano la sua perplessità
nella riuscita di questo colloquio, che temeva si risolvesse in una
‘conversazione’ qualsiasi. Fu appassionante, invece assistere al fatto che
questa conversazione divenne un vero ‘colloquio terapeutico’, grazie al livello
del terapeuta e all’abbandono che visse con lui la “cliente”. Una ‘volontaria,
peraltro, molto scettica su quel tipo di colloquio, che riserbò una sorpresa a
Rogers, come vedremo durante la conversazione. L’empatia fu potente. La cliente
era emozionata, come pure il terapeuta. La voce rotta e le lacrime che
apparvero, però, si possono solo
immaginare…>
TRASCRIZIONE DEL COLLOQUIO DI CARL ROGERS SVOLTOSI A
ROCCA DI PAPA, ROMA, NEL LUGLIO 1979
Il
colloquio si svolse in un ampia sala, gremita di gente, e l’anziano maestro manifestò
perplessità circa la riuscita e l’autenticità della conversazione (una simulata diremo oggi). Il colloquio, in
inglese, fu registrato e poi trascritto e tradotto in italiano. Molte testate
specialistiche lo pubblicarono, tra cui il nostro notiziario.
Nel
testo con R. viene indicato Rogers che
parla, con C. la cliente. Tra parentesi vi sono descritte delle azioni o delle
note di redazione per precisare alcuni termini o parole.
Rileggere
questo significativo brano di un colloquio tenuto direttamente dal maestro della Terapia centrata sul cliente, estemporaneo
e brillante esempio di tecnica relazionale non direttiva ed empatica, ha fatto
molta impressione in chi vi scrive. Leggendo lentamente queste righe sembra di
essere lì, alla presenza di questo anziano studioso, seduto di fronte ad un
donna, leggermente a disagio, mentre il colloquio si srotola davanti a noi. E
subito perde le caratteristiche di una conversazione per divenire una
consulenza.
Cari
lettori, se avete impressioni, emozioni, stati d’animo che vi suscitano le
parole che seguono, non esitate a scriverci e a condividerle con noi, perché le
pubblicheremo..
IL COLLOQUIO
DI CARL ROGERS
R.
Vorrei precisare che il cliente m è praticamente sconosciuto e non l'ho mai
incontrato prima di questo gruppo di lavoro. Mi ricordo che nel corso di una
seduta stava parlando di qualche problema ed io le ho domandato se voleva fare
da cliente in questa intervista. Lei ha detto di sì, che sarebbe stata la
cliente; da quel momento abbiano parlato per tre o quattro minuti, perciò io
non la conosco e, ad ogni modo, provo in anticipo il piacere di conoscerla
meglio quest’oggi.
E’
un rischio per me, per il cliente e per voi; può darsi che diventi solamente
una conversazione ordinaria, oppure che vada maggiormente in profondità; non
c'è nessuna garanzia. Penso che ci organizzeremo in questo modo: avremo una
mezz’ora di colloquio, poi ci penseremo su per alcuni momenti; quindi credo che
il cliente ed io avremo da commentare la nostra esperienza durante il colloquio
e probabilmente potremo avere una piccola discussione tra di noi su quanto e
successo.
Non
ci sarà spazio per le domande degli spettatori; sono sicuro che ci saranno
centinaia di persone che vorranno domandare delle cose; tuttavia è meglio che
le domande le poniate a voi stessi.
Dopo
questo colloquio devo andare via. Quello che vi invito a fare è che voi vi
dividiate in gruppetti di due o tre persone e discutiate del significato che
per voi ha avuto la partecipazione a questo colloquio; dal momento che io penso
che i significati siano tanti quanti sono i partecipanti al gruppo di lavoro. E
la miglior risposta alle vostre domande è la risposta che voi darete a voi
stessi. Penso che ciò sia pressoché tutto ciò che vi debbo dire. Naturalmente
dovremo superare l‘artificiosità della situazione: c’è tutto un uditorio e
questa scatola (il registratore a nastro, ndr) dietro la quale bisogna star
seduti. II cliente è meglio che sieda dove sono seduto io adesso.. La
sistemazione non è certamente perfetta, ma passati i primi minuti spero che si
riesca veramente ad arrivare ad uno scambio tra due persone. Ora cominciamo.
(rivolto alla
cliente)
Puoi
sedere dove vuoi, come preferisci, vicino o lontano da me, come ti sta bene,
Vorrei
avere alcuni minuti per concentrarmi, stare tranquillo ed essere rilassato.
Non
so di che cosa mi vuoi parlare, ma sarò lieto di ascoltarti.
C. Ho pensato moltissimo al problema che potrei,
esporre oggi, e durante questo processo ho cominciato a rendermi conto di
quanto fossi spaventata dalla natura non strutturata di questo colloquio. Penso
che preferirei tenermi questa paura oppure preferirei essere con chiunque
piuttosto che con Carl Rogers e mi devo chiedere perché è più facile per me
affrontare un problema e non ho difficoltà a parlare: sono abituata a parlare e
per me questo è un modo di controllare la situazione. Penso che sia il tuo
approccio, non direttivo a spaventarmi parecchio.

R. Sembra che la
paura di non sapere dove ciò ti possa portare ti dia fastidio e che la
direzione in cui ti muovi non sia ben certa, ti sembra piuttosto
traumatizzante.
C. Sì è proprio così; io vorrei che tu mi
guidassi e mi facessi un sacco di domande; ma non voglio chiederti di fare
tutto questo lavoro; preferirei essere la volontaria per una seduta di
ipnotismo che per te. Mi potresti dire Qualcosa su questo mio non essere attiva
nel modo in cui probabilmente dovrei essere con tè?
R. Certamente si può dire qualcosa in proposito:
puoi avere la preoccupazione di iniziare qualcosa da sola.
C. Sì, è una cosa molto contraddittoria perché,
se si guarda alla mia vita da osservatore esterno, il fatto forse più
appariscente è la mia indipendenza e la mia iniziativa e qui c’è una bella
contraddizione: in profondità però io sono molto spaventata da ciò che non è
strutturato, quando queste vengono imposte. .
R. Come fai a capire che quando hai a che fare
col mondo esterno non hai nessuna difficoltà a prendere iniziative ed organizzare
delle cose, ma quando si tratta di rivelare qualcosa di te stessa allora la
cosa ti spaventa molto di più?
C. Sì, dovrei dirti, ed anche alle persone che
sono qui, che io sono una terapista del comportamento ....,
R. … ah, non lo sapevo! .
C. Non lo sapevi ... ed io preferisco
lavorare con una guida; perciò l’essere venuta qua è un esperimento per me ed
io mi sento a disagio, con questo aspetto non direttivo sia dì questo gruppo
di lavoro che di questo colloquio: ecco, questo per chiarire un po’ il
problema.
R. E’ un rischio, quindi, proprio per
definizione.
C. .Sì, è un vero e
proprio rischio. Dovrei forse dirti qualcosa della mia vita, non so ...? Può
darsi che ciò significhi imporre una struttura, ma penso che possa essere
importante. Io sono molto arrabbiata di come la mia vita si è risolta, mi
sembra di essere stata fregata in qualche modo. Ho studiato in una
"graduate school" (scuola di specializzazione post laurea, ndr), pur provenendo
da una famiglia povera, mi sono data un'educazione da sola e sono la sola della
mia famiglia ad avere una laurea e, finalmente, ho fatto ciò che desideravo,
professionalmente. Siccome sono anche una donna ho conosciuto il tipo di marito
che volevo ed anzi ho scelto il più bello, il più intelligente ed il più
interessante uomo che potessi trovare all'età di 22 anni e mi sono sistemata
per la mia strada, in modo che ogni cosa sembrava funzionasse bene. Poi il
matrimonio è fallito quando avevo 32 anni ed allora ho dovuto strutturare la
mia vita personale, mentre la vita professionale continua ad andare avanti
assai bene. La mia vita personale è stata molto difficile e sento di essere
stata fregata in qualche modo e che questo non doveva succedere a me. Ho
dovuto allevare due bambini e mettermi in una diversa relazione e dover essere
di supporto per me stessa, per i miei bambini ed inoltre per tutte le mie
attività.
R. Comprendo ciò che vuoi dire coll’essere stata
"fregata" e il fatto che hai dovuto strutturare la tua vita; hai
usato parole come ricreare la vita, costruire la vita: pensi che ciò abbia
qualche significato!
C. Quella sensazione di essere perduta, senza
una struttura e, voglio dire, una famiglia, un marito, qualcuno a cui ritornare
tutte le sere dopo il lavoro, qualcuno cioè che sia lì vicino, per me.
R. E questo senso di
essere sperduta c'è, anche solo a pensarci, vero?
C. Sì è vero. Così io penso di dover strutturare
questo colloquio e tanto per cominciare mi sento a disagio solamente a
starmene seduta e lasciare che le cose accadano: perché quando ho lasciato che
le cose accadessero non è poi
andata così bene. .
R. Così anche questo colloquio rientra in quel
tuo "sentirti sperduta".
C. Sì, mi. sono sentita molto smarrita nella mia
vita ed anche qui.
R. E la stessa sensazione c'è un pò anche in
questo colloquio.
C. Comunque mi sento meno smarrita qui di quanto
non capiti nella vita, forse perché vi ritrovo qualcosa del mio ambiente
professionale ... (pausa)... mi sembra che tu stia aspettando che io dica
qualcosa; sono imbarazzata dal silenzio.
R. Non c’è nessun problema e sono perfettamente
disposto ad aspettare fino a quando non ti sentirai di dire ciò che vuoi dire.
C. E’ solo molto
difficile, ho molto caldo e le mie guance stanno bruciando, non sono sicura di
sapere ciò che voglio dire.
R. Chissà se anche in questo momento stai
provando un senso di smarrimento che ti fa pensare: "che caspita stiamo
facendo?”
C. Sì sì, e vero. 0.K. Di solito sono abbastanza brava a usare le
parole ed ora non so cosa dire. Ho cominciato bene ma non so dove andrò a
finire adesso.
R. Dopo aver detto "ciao" ed aver
raccontato qualcosa sulla tua vita, dove sei andata a finire..!?
C. Sto aspettando che qualcuno mi venga in
aiuto, a sollevarmi, fa parte forse dell’essere donna. Ho la sensazione di
dover divertire ed anche che ci si debba prender cura di me. Non so veramente
cosa fare dopo introduzione e sento che non posso solamente "essere".
R. E questo è il punto. Vorresti essere
divertente o essere qualcos’altro, ma forse è impossibile per te solo
"essere".
C. Continuo a trovare difficile starmene qui
seduta in silenzio tranquillamente.
(pausa)
R. Mi sembra di sentire nei tuoi occhi un
invito del tipo: per favore guidami, fai qualcosa.
C. Fai qualcosa sì!
R. Fai qualcosa, sì!
C. Penso di essere stata in difficoltà con te in
questo gruppo di lavoro perché le mie sensazioni nei tuoi confronti sono
contrastanti. Mi sono chiesta come tu potessi startene semplicemente lì seduto
e lasciare che le cose andassero avanti ed anche nei tuoi riguardi ci sono
molte, cose che potrebbero accadere; io vorrei semplicemente che accadesse
qualcosa: ero molto arrabbiata con te nel vedere quante persone erano a disagio
per non avere un punto di riferimento sicuro e se io fossi stata un pò più
attiva avrei espresso questa mia rabbia. Non l’ho fatto e penso che anche il
gruppo abbia fatto così. Mi è molto difficile essere arrabbiata con qualcuno
che siede lì e vuole che le cose siano belle e vadano bene; e poi mi è
difficile essere arrabbiata con qualcuno che è gentile con me e cerca di
mettersi in contatto con me: così penso di avere delle difficoltà con te.
R. Ti sei arrabbiata con me nel gruppo ma non lo
hai espresso e tuttavia c’erano queste sensazioni.
C. Sì.
R. Ed eri molto arrabbiata con me: "perché
non guardi le cose che succedono? perché non ascolti? perché non fai
qualcosa?".
C. Sì, fa qualcosa, fa qualcosa. Non far stare
la gente in ansia. (sospiro)
R. Perché lasci che la gente sia in ansia?
perché mi lasci stare in ansia?
C. Sì, perché mi lasci stare in ansia? perché
non mi fai delle domande? Questa è la contraddizione che provo nei tuoi
confronti. Tuttavia mi piacerebbe approfittarne: cioè io ci sono, tu ci sei, e
questo e il modo, ed io ho delle difficoltà anche ad esprimere la rabbia e non
servirà a nulla e nulla cambierà. Nulla cambierà.
R. Ti senti senza speranza perché non puoi
cambiare il tipo di rapporto!?
C. Sì è così. Io posso urlare e sbraitare ma tu
non cambieresti.
R. Non hai provato....
C. No. Non sono arrabbiata per il gruppo di
lavoro. Sono venute tante persone perché era stato organizzato un gruppo di
lavoro come questo e ci sono molte persone con dei problemi e tu ora sei
sensibile a me, ma non puoi essere sensibile a 150 persone e ciò mi fa star
male ancora di più. Ci dovrebbe essere qualche struttura. Probabilmente le mie
difficoltà con te mi fanno pensare ai miei problemi con mio padre, che non era
una persona sensibile, mentre con tè i problemi sono di diverso tipo, perché tu
accetti qualunque scelta io abbia fatto. Mio padre invece non sente, o meglio,
il suo modo di sentire è disapprovazione, cioè "non mi piace quello che
stai facendo".
R. Il problema di rapportarti a me come con tuo
padre o con gli altri è dovuto al fatto che non sono disposti ad accettarti?
C. Sì, questo è imbarazzante, molto
imbarazzante.
R. Ciò rende difficile trovare il modo di
cominciare con me.
C. Sì è vero, è proprio vero. L’uomo che amo è
uno molto strutturato e ciò mi fa arrabbiare spesso, perché continua a
stabilire delle redole: lui si arrabbia con me ed io con lui, ed è bello perchè
lottiamo e questo per me è nuovo e mi piace poter provare questa rabbia, perchè
è molto diversa da quella che provavo con mio padre. Ho delle difficolta con
te, invece, molte difficoltà.
R. Non so come tu mi voglia trattare. Vuoi
essere in collera con me o cosa?
(pausa)
Un punto mi sembra di
cogliere: è che quando parli delle differenze che vi sono tra il rapporto con
tuo padre e questo rapporto mi è sembrato di sentirmi davvero in comunicazione
con te.
C. Penso, è vero, che sono confusa, che quindi
non rispondo bene alla tua parte ed allo stesso modo non rispondevo a mio padre
il quale ha un atteggiamento giudicante e negativo ed io non credo di essere
diventata come lui avrebbe voluto.
R. E ciò significa per tè che se io non rispondo
tu pensi che ti stia giudicando oppure disapprovandoti, proprio come faceva tuo
padre.
C. Beh, razionalmente mi dico che non è così ed
ho visto che è diverso e che è diverso il tuo stile di rispondermi, tuttavia mi
sento a disagio perché tu non rispondi e non riesco a trovare il modo di essere
con te.
R. Hai in qualche modo la sensazione che io non
sia in sintonia con te?!
C. No. Assolutamente non è così. Sento che sei presente, che partecipi con la tua
sensibilità, vedo le lacrime nei tuoi occhi. Semplicemente non sono abituata ad
un uomo così sensibile: mi trovo male con gli uomini sensibili, non sono
abituata alla sensibilità.
R. Sì, questo rende tutto più difficile
.....(pausa)
Sarebbe più semplice
se io ti giudicassi o disapprovassi..
C. .... o controllassi
R. o ti controllassi.. o strutturassi le tue
cose mentre il fatto che io sia solo sensibile a quello che tu sei è ancora più
duro per te.
C. E’ vero, ciò mi fa sentire il gusto di
qualcosa che è così raro al mondo; è così difficile trovare un uomo sensibile
che non voglia qualche cosa; ne ho trovati così pochi, almeno nella mia
esperienza, tra la gente che ho conosciuto. Si trova questo "gusto" e
poi pero bisogna andar via.
R. Ti da il gusto di qualcosa che senti
"impossibile"; non esiste quella cosa chiamata "uomo
sensibile".
C. Sembra ridicolo, no? Il fatto è che avere una
rispondenza diversa da un uomo, diversa da quella che sono abituata ad avere,
mi colpisce.
R. Probabilmente ti sconvolge.
C. Sì mi sconvolge. C’è la possibilità di
diventare molto vicini.
R. Porse la cosa che ti spaventa e la possibilità
di una vera vicinanza (pausa)
anch'io mi sento così.
C. Come?
R. Che c'è la possibilità di essere davvero
vicini. (pausa)
C. E’ proprio di questo che io ho paura!.. Sì,
va bene. Si è vicini, si può essere vicini per venti minuti e poi "arrivederci".
R. Questa è una cosa che ti spaventa, la
sensibilità per venti minuti e poi basta ... Ti sembra niente.
C. Certo ne voglio di più. Il mio
"appetito" di questo è maggiore ed io sono davvero insoddisfatta di
questa realtà.
R. Questo e il guaio di provare il gusto di una
cosa, che si può essere molto delusi per tutto ciò che c’è fuori nel mondo.
C. Devo imparare ad accettare ciò che l’esperienza
rappresenta per me senza volere di più, evitando di trasformarmi da sola in una
persona sofferente e depressa anche quando non è il caso.
R. Forse potresti accettare ciò che è buono e
chi è sensibile senza preoccuparti che, se non durerà per sempre, non è buono.
E' qualcosa da desiderare per tè stessa.
C. Io sto avendo qui una buona esperienza con te,
eppure sto piangendo e sono triste e stiamo comunicando insieme. La vicinanza
per me è una cosa anche sconvolgente e dolorosa.
R. Posso sentire questo tuo dolore, mi sento in
diretto contatto anch’io.
C. Certo, si vede, questo mi tocca molto, ed
anche la partecipazione della gente in sala. Tuttavia è duro per me affrontare
questa esperienza ... lo posso percepire, tuttavia non è sufficiente star
seduta qua.
R. Non e sufficiente oppure ti sembra qualcosa
di artificiale? di non reale?
C. No, non la sento artificiale; io sto avendo
un'esperienza molto vera con tè adesso.
R. Anche per me è reale.
C. Mi sta venendo il desiderio di fare qualcosa
di diverso che starmene semplicemente qui a fare quest’esperienza; cioè star
qui seduta e sentirmi vicino a tè mi crea un desiderio impellente di muovermi o
di fare qualcosa di diverso proprio perché mi sento così a disagio a starmene
seduta a chiacchierare. Posso incontrare qualcuno e sentirmi vicina a lui, ma
il mio corpo sente il desiderio di correre o di fare qualcosa di diverso.
R. Fammi capire: e difficile stare seduta qui,
mentre il tuo corpo vuole essere da un'altra parte, oppure vorresti
semplicemente essere un pò più attiva?
C. ... più attiva.
R. Essere più attiva. Fai qualcosa se vuoi.
C. No, no. Sono stanca di stare qua seduta è
vero, ma ciò è abbastanza stupido perché ci sono altri che sono stanchi di star
seduti qua.
R. Ma tu devi parlare di ciò che riguarda te.
C. Sì, sì, io parlo di ciò che riguarda me, ma è
quello che penso. Sì, ma per quanto tempo staremo, qui seduti, mentre vorrei
fare qualcos’altro? Penso di sentire una certa iperattività emotiva che e
qualcosa come un mio vecchio amico...
R. ... iperattività emotiva...?!
C. Iperattività emotiva.
R. E’ un vecchio amico per te ...
C. E’ un vecchio
amico.
R. Un tuo vecchio amico ...!?!
C. Sì, un mio vecchio amico.
R. Perché sei seduta qua da molto tempo?!...
C. Sì, divento sempre più ansiosa. - Oh mio Dio,
devo fare qualcosa - e questo vale a qualunque livello. Mi piacerebbe che tu mi
insegnassi come si possa starsene semplicemente lì seduti ed “essere". Io
non posso semplicemente starmene lì a provare qualcosa, senza pensare che devo,
devo fare qualcosa. Non riesco, non riesco, non riesco, e una cosa che mi mette
in agitazione.
R. Ci ho messo molto tempo per apprendere quello
che ho appreso e tuttavia non ho. ancora imparato molto nemmeno ora.
C. Mio padre mi ha insegnato molto poco, ho
imparato molto poco da lui ad eccezione di un certo stile naturalmente, ma,
voglio dire, molto poco delle cose con cui sono a contatto; mi piace la
capacità di stare lì tranquillo ed io non so proprio come fare, perciò
insegnamelo.
R. Tu vuoi che ti insegni ...
C. ... sì, più direttamente; ad esempio dammi
una serie di regole di comportanento..,
R. ... delle condizioni.
C. No, non delle condizioni.
R. Vorrei darti qualcosa che ti sia d’aiuto più
duraturo di qualche regola.
C. Tu puoi startene qui e fare questo mentre io
ho delle difficoltà ed il tuo stile d'apprendimento vuole che io stia seduta qui
ed abbia delle difficolta e continui a dire che voglio più aiuto: cioè io sono
impaziente, impaziente. Non mi piace lottare con me stessa.
R. Vorresti che ci fossero più regole che ti
impedissero di avere troppo spazio .... !
C. Tutto ciò che imparo, tutto ciò che ho
imparato, io l'ho insegnato a me stessa ed ora devo insegnare a me stessa cose
che riguardano il mio corpo, cioè le emozioni che provo riferite al mio corpo e
me le insegno mentre studio e lavoro con i pazienti.
R. Avrai certamente avuto molte difficoltà ad
insegnare a tè stessa tutte queste cose su tante diverse emozioni.
(pausa)
C. Sono molto arrabbiata con tutto il mondo
perché non mi ha dato più
aiuto in questo senso.
R. Probabilmente è una delle cose in cui ti
senti tradita. "Perché il mondo non mi ha aiutata ad imparare le cose che
avevo bisogno di imparare?".
C. Ed in un certo senso, anche ora con te, con
le tue tecniche, mi pare che sia di nuovo la stessa cosa, un soffrire da sola.
R. E’ un esempio, questo, del tuo modo di vivere,
questo soffrire, soffrire per imparare. Quello che tu percepisci non è un mondo
simpatico,
C. Sarebbe diverso sperimentare la simpatia,
anzi forse la parola giusta è empatia. Io non so veramente molto su di te, e
non ho letto molto i tuoi libri, solo dei sommari; ma mi pare che tu capisca di
più sul dolore, sulla lotta solitaria che io ho fatto. Penso che sia così.
R. Sì, probabilmente anch'io so che cosa
significa la lotta e la sofferenza solitaria.
C. Sì, ne sono certa. E’ interessante che quando
ho saputo la prima volta della terapia del comportamento, fui molto interessata
perché lavoravo in un ospedale in mezzo a tutte queste persone che stavano
impazzendo ed ero molto interessata alle tecniche di rilassamento, poiché erano
da preferirsi ai medicinali, ma non c’era nessuno che me le potesse insegnare. In
una stanza avevamo delle registrazioni ed ero molto fiera di dover imparare
tutto da sola. Ma improvvisamente mi
accorgo che tu sei qualcosa di più di una semplice persona, che tu rappresenti
un vero e proprio movimento.
R. Vedi quindi qualche elemento nuovo qui ...
C. Sì, ti vedo come uno differente. Mi sento
molto più vicina a te di qualche minuto fa, dopo aver diviso con te ansie e
lacrime. Ti vedo come una persona che deve fare una dura lotta da solo, nel tuo
lavoro, senza nessuno che ti dica cosa fare.
R. Apprezzo ciò che tu mi dici ... Il tempo sta
pensando. Stiamo seduti un paio di minuti a pensare a quello che è 'successo e se tu vuoi rendere
partecipi i nostri amici in sala di ciò che ti è accaduto io poi farò lo stesso,
se ciò va bene per tè.
C. Sì, va bene.
(pausa – intervallo
di qualche minuto)
R. Devi voltare il nastro? lo collego. Non si
sente? Voltalo di nuovo. .Ah ecco, il pulsante Come al solito io ho più fiducia nelle persone
che nelle macchine.
Mi piacerebbe dire qualche cosa delle mie
reazioni a questo colloquio e poi spero che anche Tracy (il nome della
‘cliente’) abbia voglia di renderci partecipi delle sue reazioni. Dopo pochi
minuti, uno o due, in verità mi sono trovato completamente isolato
dall’uditorio. Mi pare di aver voluto
davvero cercare di capire il vero significato di ciò che la turbava ed essa può
dire se ci sono riuscito o meno; ma, quanto meno, la mia vera intenzione è
stata quella di cercare di capire a fondo ciò che alcune parole significano per
lei. Sono rimasto molto soddisfatto dal fatto che lei si è sentita
sufficientemente aperta da dirmi quanto fosse arrabbiata con me, perché ciò ha
posto la nostra relazione su di una base reale e ciò l’ho molto apprezzato. Non
credo di volergliene se si sentiva arrabbiata con me perché si aspettava, o
desiderava, qualcosa di totalmente diverso. Ammetto .che è sembrato alquanto
difficile, per me, dalle mie posizioni, cercare di essere anche dalla sua
parte; non ho cercato di vivere questa lotta, ma semplicemente ho cercato di
ascoltare qualunque tipo di lotta si potesse svolgere dentro di lei: mi ha
davvero dato fastidio quando, qua e là, ho avuto l’impressione di sospingerla
verso la lotta senza darle nessun aiuto.
Ciò che invece stavo
cercando di fare -non so con quanto successo- era di essere davvero un compagno
per lei durante la sua ricerca, cercando di andare lontano esattamente quanto
lei voleva e nella direzione in cui lei intendeva andare. In qualunque
direzione avesse voluto muoversi sarebbe andato bene per me. Ho avuto la
sensazione di aver toccato alcune parti della sua vita che sono reali, piene di
significato. Per me é stato un buon inizio. C’è un tipo di cosa che non ho
sentito, una cosa che a volte sento quando lavoro per dei clienti un pò più a
lungo; e cioé alcune volte sento qualche cosa di molto impulsivo che non so da
dove venga, oppure qualche cosa che ho bisogno di dire e che non ha alcuna
relazione con la situazione del momento ma io la dico e risulta essere molto
utile. Non ho avuto questo tipo di esperienza e penso che molto sia dovuto al
fatto che era un esperienza nella quale cominciavamo appena ad avvicinarci. Io
penso di avere ancora qualche cosa da dire ma vorrei dare a te la parola, se
vuoi.
C. C’è una cosa. Anch'io non mi sono più resa
conto della presenza dell'uditorio. Ho avuto l’impressione che si stesse appena
incominciando, mi è sembrato che fossero passati cinque minuti e non mezz'ora.
Ero molto frastornata prima del colloquio, pensando a tutte le varie cose e ai
problemi che avrei potuto tirar fuori e sarebbe stato molto facile arrivarmene
con un problema. Ho deciso di non fare così, anche se era più difficile
trattare l’argomento delle strutture, che è realmente il grande problema della
mia vita. Io faccio resistenza alle strutture e sento con molta foga una gran
voglia di indipendenza, mentre nello stesso tempo mi comporto come una che ha
bisogno di qualcuno che si prenda cura di lei. Penso che questo sia davvero
l’argomento maggiore. Trattare di strutture durante un colloquio di terapia non
direttiva è per me una cosa nuova ed io forse ho bisogno di una terapia più
attiva.
Un altro argomento
che a mio avviso è molto rivelatore è il fatto che io non riesco a starmene
semplicemente lì seduta, ma devo fare qualcosa, devo darmi da fare per avere l'attenzione
della gente, devo fare insomma tante cose per sentirmi in contatto con gli
altri. Ad ogni modo si può essere coscienti ad un certo livello e non ad un
altro. Ho avuto la netta sensazione di essere in grado di conoscerti come
persona e solo verso la fine c'è stata l’enfasi di dire: "Ho Cari Rogers
qui davanti, che è uno famoso", e questa è una cosa importante per
chiunque, specialmente per una che desidera essere più aperta o di essere
strutturata in modo più aperto. Inoltre mi sto accorgendo di non avere avuto
una relazione affettiva, tipo matrimonio, da nove anni, e ciò significa che non
sono poi così sicura di volere questo tipo di progettazione. Ciò è molto
difficile da accettare per me, penso che ve ne siate resi conto. Penso che la
cosa che mi ha creato maggiore difficoltà sia rendersi conto di essere qui
seduti senza poter dire nulla. Nel gruppo di lavoro ero seduta molto distante
da te, nel gruppo grande, e non ho avuto mai la possibilità di vedere che tu
probabilmente stavi provando molto dolore. Qui, invece, stando seduta vicino a
te ho potuto vedere i tuoi occhi, il tuo corpo ed il tuo viso ed ho potuto
avvertire la tua partecipazione più di guanto non fossi riuscita a fare nel
gruppo grande. Ho dovuto realmente accettare il fatto della presenza di
qualcuno, cioè di qualcuno che è davvero presente e cerca di capire qualcosa di
me. in contrapposizione cioè a chi allunga semplicemente una mano per toccare ed indicare le cose che
sono sbagliate. Questa è stata una sensazione molto reale che ho davvero
provato. Devo inoltre dire che non mi sono mai accorta della presenza di un
uditorio fino a quando non mi sono voltata indietro. Adesso sì, avrei ancora voglia di andare
avanti! Grazie!
R. Come ti ho già detto prima di cominciare il
colloquio, noi possiamo continuare il dialogo, se tu lo desideri, fino a quando
sono qui. Ho sentito molto acutamente quella che mi sembra essere una lotta tra
il tuo desiderio di portare avanti le cose a modo tuo e nello stesso tempo
avere qualche volta qualcun altro che organizzi le cose per te, e sembra che
queste due tendenze vadano in conflitto molto spesso.
C. Sì, sì.
II ribelle che vuole essere sgridato.... Questo è esattamente il tipo di
relazione che ho con un uomo di scienza che è molto a posto, molto strutturato.
Io sono in conflitto con questa persona,
ed anche se è uno che conosco da diciassette anni, ciononostante continuo a
ribellarmi ancora testardamente.
R. Una cosa che hai detto mi ha molto
toccato: è che tu sei stata molto
cosciente della mia presenza ed io mi sono accorto che non so come essere
presente ad un gruppo di lavoro molto numeroso, quando comincia ad andare in
crisi. Quando le persone cominciano ad ascoltarsi le une con le altre, allora
so come essere presente, ma quando
vengono fuori le crisi ed i problemi, allora io soffro esattamente come tutti
gli altri. Sono presente cioè nella misura in cui soffro e non saprei trovare
nessun altro modo di essere presente. Credo di poter comprendere i tuoi
sentimenti circa tutti i problemi che si stavano sviluppando, ma penso che l’unica cosa che si
può dire è che questo lavoro è stato molto reale ed ha aperto un paio di
piccole porte, attraverso le quali gettare un sguardo ed è stato appena un
assaggio di ciò che avrebbe potuto diventare.
C. Sì, sì, grazie per avermi-dato questa
possibilità.
R. Grazie per essere stata disponibile. O.K. C'è
altro che desideri dire?
C, No, va bene così.
R. E’ interessante che i buoni propositi
generano altri buoni propositi. Non ho usato tanti Kleenex quanti pensavo (è lo
strumento dei terapisti, nessun terapeuta può andare avanti senza Kleenex). Non ho nient'altro da dire ad eccezione del
fatto che spero che il lavoro fatto insieme abbia qualche significato anche per
gli altri. In un senso molto profondo non voglio sapere che cosa ha significato
per gli altri, poiché ha già avuto un significato per me al momento e se poi ha avuto un
significato anche per loro, allora OK, bene! Se no, OK lo stesso. Sono sicuro che i
presenti hanno molte motivazioni da confrontare, domande da fare, empatia da
provare ed abbia mille modi e reazioni. Spero che abbiano la possibilità di
scambiarsi reciprocamente le rispettive sensazioni. Così, che ne sia valsa la pena o no, penso che il nostro contatto sia finito a
questo punto. Grazie!
*
* * * *
BIBLIOGRAFIA
Rogers, C. R. (2000) La terapia centrata sul cliente, Firenze, Psycho
Rogers, C. R. (1983) Un modo di essere, Firenze, Psycho,
Rogers, C. R. (1976) I gruppi di incontro, Roma, Astrolabio-Ubaldini,
Rogers, C. R.; (1974) Libertà dell'apprendimento, Firenze,
Giunti-Barbera
Rogers, C. R.; Kinget, G. M. (1970) Psicoterapia e relazioni umane.
Teoria e pratica della terapia non direttiva, Torino, Bollati Boringhieri,
Rogers, C. R. (1971) "Psicoterapia di consultazione", Roma,
Astrolabio.